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Progettare Archeologia. Da Villa Adriana verso la Grande Bellezza

Volume 2 a cura di Francesco Novelli

 

Progettare Archeologia è il titolo, un po’ provocatorio di questa collana, della quale questo volume costituisce il primo numero. La provocazione sta nel fatto che nel comune pensare il dato archeologico è, appunto, un dato, cioè qualcosa con cui si ha a che fare perché è sempre stato lì, muto testimone del trascorrere del tempo che lo allontana dalla propria origine. Il dato archeologico è così perché è, perché è sempre stato così ed è il mondo che si trasforma attorno a lui e non viceversa. Quindi, è evidente che, nella logica normale, non è possibile progettare archeologia, perché non si progetta ciò che preesiste e prescinde. Punto. Si progetta ciò che non c’è.

Questa collana invece ha l’obbiettivo di registrare, accogliere e diffondere l’idea, opposta a quella del sentire comune, secondo cui l’archeologia è, invece, oggetto di progetto, in quanto oggetto estetico. Oggetto quindi del desiderio di identità che la coscienza di una comunità sente come propria. Progetto archeologico e progetto identitario sono qualcosa di sovrapponibile. Quello che li differenzia è che il primo tratta il secondo, non perché è sempre stato lì, ma perché da ora in avanti ha un senso nel comunicare una visione del mondo, che è aderente con una storia, ma che non è la storia. Ne è solo la semplice rappresentazione. Ecco quindi il senso originale: archeologia e progetto vivono in una dimensione tutta legata alla rappresentazione, tutta legata al mostrare quello che non c’è più.

L’archeologia come la conosciamo oggi è in gran parte un prodotto della modernità. Possiamo dire che l’archeologia non esiste senza il progetto moderno che le ha affidato questo ruolo nuovo. Prima di questo compito sociale, l’archeologia era cava, giacimento, luogo della sottrazione. E’ grazie all’architettura che l’archeologia è tornata ad essere oggetto sociale ed è grazie alla ricomposizione a cui è stata sottoposta che essa è tornata ad essere architettura, sebbene frammentaria, in un paesaggio architettonico e naturalistico.

In questa collana, raccoglieremo i contributi che provengono dall’architettura e che vanno nella direzione dell’archeologia e a favore della sua rappresentazione, laddove questa assume i tratti di un allestimento, di una nobile sistemazione delle cose visibili, e che vive in una dimensione ostensiva all’interno di un Delta T che non sempre è determinabile con una previsione di scadenza. La dimensione in cui l’architettura si manifesta attraverso l’archeologia è quindi ispirata da una consapevole incompiutezza e allo stesso tempo da una vocazione museografica e paesaggistica.

Questo secondo numero, curato da Francesco Novelli, tratta di Villa Adriana, “residenza dell’Imperatore Adriano”, così ricordata nei registri delle descrizioni dei terreni posseduti nel territorio della città di Tivoli dal Noviziato di S. Andrea a Monte Cavallo di Roma della Compagnia di Gesù (metà del XVII secolo), rappresenta luogo di memorie e profonde trasformazioni, che a partire dal-la fine del XIX secolo (1870), poco dopo l’Unità di Italia, si apre al pubblico quale struttura museale statale. Il primo contributo affronta il delicato passaggio del complesso tiburtino da rudere romanticamente studiato, visitato, scavato e conosciuto in Europa, all’istituzione della Villa quale museo statale. Le sue trasformazioni, le importanti campagne di restauri, la presenza di personaggi quali Marguerite Yourcenar hanno profondamente contributo ad alimentare nella collettività, il pensiero di un’antichità immaginata for-temente radicata allo spirito dei luoghi.