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Posizione teorica

La forma dell’Effimero

Il Tractatus Logico Sintattico

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Posizione teorica

La posizione teorica di Pier Federico Caliari si concentra su tre temi di riferimento:

  • La forma come principale ambito teoretico dell’architettura

Fin dagli esordi come autore e saggista, si è impegnato in una costante ricerca e sperimentazione nell’ambito della teoria e metodologia del progetto, avente la Forma come logos fondante. Questa propensione appare in modo evidente già nella prima monografia La Forma dell’effimero, così come nel successivo saggio, intitolato Tractatus Logico Sintattico. La forma trasparente di Villa Adriana, che indaga e dimostra l’esistenza e la natura di un principio ordinatore e quindi di un tracciato regolatore nella composizione architettonica della Villa. Il concetto di forma viene altresì espresso e definito nelle lezioni tenute in ambito accademico prima presso la Scuola di Architettura del Politecnico di Milano e poi presso il Dipartimento di Architettura e Design. La forma è intesa come dispositivo, cioè come entità capace di agire sulla disposizione e organizzazione degli elementi presenti nel quadro di una strategia compositiva, nonché come entità dotata di un motore di regolazione delle proporzioni, delle dimensioni e delle relazioni reciproche tra elementi. La forma è pertanto, non un dato o un prodotto statico, ma un processo di mutazione insito e connaturato nel pensiero progettante. In questo senso il progetto si afferma e si rappresenta secondo una duplice modalità: come forma-idea (cioè l’insieme strutturato e ordinato degli elementi che la costituiscono) e come forma-percepita (l’insieme delle proprietà figurative che si offrono all’osservatore). La duplice modalità è regolata dai sistemi di rappresentazione che organizzano modi di produzione segnica e codici finalizzati alla comunicazione visiva e plastica della forma stessa ai diversi livelli di implementazione. [1] La forma è quindi un processo che si sviluppa all’interno di un Delta T corrispondente alla vita di un progetto, prima nella sua fase di gestazione, poi nella fase di realizzazione, successivamente nella fase di frequentazione e – eventualmente, se non incorre la sua estinzione definitiva – in una o più possibili fasi di rigenerazione. È possibile quindi definire, come segue, i vari passaggi di “sviluppo della forma”: forma eidetica, presente nell’attimo del concepimento e del suo riconoscimento come processo mentale. Forma lucida, presente nella fase progettuale di definizione, identificabile in un processo progressivo di illuminamento/visione e ordinamento, a cui segue la forma eikonica, che sottende varie modalità di trasmissione all’esterno del pensiero progettante, tra le quali quelle ordinative della realizzazione fisica. Fino a questo momento la forma è ancora immateriale, indipendentemente dai supporti che la rappresentano e ne veicolano il senso. La fase materiale della forma si innesta in un processo di sviluppo di relazioni costruttive tra la forma eikonica e le energie di contesto (materiali, manodopera, metodologie, processi). Il risultato di tali relazioni è identificabile nella forma totemica (o tettonica), che custodisce i significati e i luoghi deputati per la missione per cui la forma è stata creata. Comincia qui la fase di equilibrio della forma la cui durata è ineffabile e indipendente dalla volontà di generazione della stessa. Quando la forma entra in crisi dal punto di vista del suo equilibrio contestuale, può essere soggetta ad estinzione oppure a rigenerazione e risignificazione (fase di restauro). Da questo momento in poi l’intervento di modificazione dello stato della forma critica (rovina) riguarda la forma totemica nella sua doppia articolazione, materiale e iconica. In un saggio più recente, intitolato La Forma della Bellezza, l’autore ritorna sul processo di sviluppo della forma approfondito nel quadro di una più generale teoria della bellezza e delle architetture perfette, elaborata su base kantiana in cui il raggiungimento della bellezza formale è strettamente legato ad un processo di contrattazione creativa incentrato sull’allargamento intersoggettivo del giudizio riflettente. Il processo di sviluppo della forma è qui rielaborato ad una nuova ricapitolazione che sottende la sequenza di quattro momenti (istanti): “Primo Istante o della volontà pura (Delta T = 0 1). Non c’è materia, non c’è rappresentazione. C’è solo una istintuale tensione creativa. Secondo istante o della penetrazione dei dati sensibili (Delta T = 0). L’Io Penso è stimolato da elementi esterni, dal dato sensibile, dalle condizioni contestuali e a questi reagisce con una risposta pre-ordinativa che consiste nella selezione degli elementi positivi e nella disponibilità al riconoscimento reciproco. Qui, si compie l’atto fondativo, la scintilla, l’impulso energetico che avvia il primo battito innestato dal desiderio di forma. Terzo Istante o della forma primordiale visibile (Delta T = 0 + 1). L’Io Penso ha percezione sia degli elementi, sia della loro disposizione – attraverso una prima figurazione mentale che definisce l’imprinting del rapporto forma-figura – sia della sua possibilità di intervenire su dimensioni e rapporti. Quarto Istante o della forma composita visibile e trasferibile (Delta T = 0 + N). La forma è percepita dall’Io Penso come Idea e il processo è temporaneamente sotto controllo. L’Io Penso è pronto ora per la formulazione di un giudizio estetico e per la sua trasmissione all’esterno alla ricerca del “senso condiviso” con il conseguente allargamento intersoggettivo dello stesso giudizio estetico.”[2] Questa posizione, corroborata da una serie di studi e campagne di investigazione sul patrimonio storico, monumentale e archeologico, unita agli studi sulla forma hanno originato le condizioni per una personale teoria della rovina e dell’intervento di architettura su di essa.

  • Il rapporto tra progetto e patrimonio culturale e archeologico

Tutte le forme critiche sono oggetto di possibile rigenerazione, comprese quelle maggiormente compromesse dall’usura del tempo e dalle azioni dell’uomo. Le rovine (forme critiche) sono vestigia di una forma completa e complessa che può essere restituita e riportata alla sua condizione originaria di forma totemica, se esistono le condizioni e le energie di contesto. Questo aspetto, che non considera il concetto di falso storico come pertinente nel campo dell’architettura e dal quale si prende decisamente distanza, porta all’idea che il primo intervento di riprogettazione sul corpo di una forma critica sia di tipo ricostruttivo. E cioè, che il principale compito del progettista sia restituire, se possibile, la piena percezione della forma totemica implementando, naturalmente, possibili declinazioni di restituzione e modalità di lettura, se ciò è considerato utile alla trasmissione del bene rigenerato. Tale ricostruzione è da intendersi preferibilmente a l’identique, partendo dal principio di restituire anche la forma materiale originale, senza riduzioni stilistiche e di complessità costruttiva. L’autenticità non è messa in crisi dalla ricostruzione. Se un edificio era in mattoni, si cerca di ricostruirlo in mattoni; se era in pietra ed esistono le condizioni e le energie di contesto per ricostruirlo fedelmente, lo si ricostruirà in pietra. Si considerano prive di reale fondamento le ricostruzioni eseguite con materiali diversi da quelli potenzialmente presenti in origine (per esempio, intelaiature e reti metalliche su vestigia antiche. Si intende altrettanto privo di fondamento l’intervento d’integrazione mediante interventi ispirati allo “spirito del tempo” e all’ideologia del nuovo, la cui natura resta nel campo dell’ineffabile e dell’arbitrio individuale). All’idea di restituzione della forma totemica, corrisponde per converso quella della non rigenerazione formale dell’originario che privilegia la semplice assenza di progetto che non sia quello della stabilità e consolidamento della forma critica. Tale scelta tuttavia, si discosta a sua volta dalla nota posizione di John Ruskin, della quale non condivide l’interpretazione di fondo dell’intervento architettonico sulla rovina il quale, secondo in critico inglese, costituisce una cancellazione della storia e della memoria dei monumenti, una copia, un inganno.

  • La critica nei confronti dell’architettura moderna e contemporanea

La posizione nei confronti dell’architettura antica è maturata contestualmente ad un progressivo distacco e allontanamento dai paradigmi della modernità e dagli esiti – anche e soprattutto architettonici – della contemporaneità globalizzata. Si tratta di una posizione radicale dovuta ad una progressiva presa d’atto dell’impossibilità da parte dell’architettura moderna e contemporanea di soddisfare valori che sono considerati dall’autore irrinunciabili nella valutazione dell’architettura e dello spazio che questa genera in chiave di forma urbana e di percezione della qualità del costruito. Tali sono il raggiungimento della bellezza come ideale supremo, la continuità storica dell’architettura e della città, il rapporto armonico tra antico e nuovo e tra architettura e contesto, la considerazione dell’architettura storica, disegnata o informale, come modello e valore guida per la progettazione nell’attualità. Tra le caratteristiche dell’architettura moderna e contemporanea che sono invece considerate come critiche, si distinguono a giudizio dell’autore, l’incapacità di essere formalmente armonica con il lascito e l’eredità della città storica, l’antipatia – in senso etimologico – per la rovina in quanto espressione dell’antico, l’essere articolata in un paradigma incardinato sull’autonomia temporale del presente continuo e sull’alterità rispetto allo sviluppo della storia, la propensione ad esprimersi attraverso slogans figurativi riferibili all’ideologia del nuovo, l’incapacità di invecchiare in modo dignitoso, la tensione alla brutalità nei confronti dell’ambiente e dei contesti naturali e costruiti, sia sotto l’aspetto della forma-materiale, sia sotto l’aspetto dei rapporti di scala. [3]

La Forma dell’Effimero

La Forma dell’Effimero. Tra allestimento e architettura. Compresenza di codici e sovrapposizione di tessiture (2000) è sviluppo della tesi di Dottorato di Ricerca in Architettura degli Interni e Allestimento (discussa nel 1997) e consiste in una dissertazione teorica sui caratteri ontologici ed epistemologici del progetto per un Delta T = 0, cioè del progetto di allestimento per installazioni temporanee ad alto contenuto estetico. Rappresenta l’incipit di un percorso di ricerca in cui è già presente in maniera chiara l’inclinazione dell’autore ad affrontare e analizzare il tema del progetto a partire dal logos fondante della forma. Dal punto di vista della letteratura specifica, il saggio si colloca a latere della tradizione narrativa basata sulla catalogazione delle best practice (seppur necessaria per la riconoscibilità degli ambiti e confini disciplinari), proponendo un approccio di tipo ontologico ed epistemologico, cercando di relazionare la tradizione formalista-strutturalista con quella della psicologia gestaltica. Per la prima volta l’allestimento, inteso come disciplina autonoma viene presentato come un prodotto comunicazionale su base estetico-rappresentativa e analizzato sotto il profilo dell’articolazione di più codici compresenti, in un quadro narrativo definibile come “palinsesto”.   Organizzata in tre parti principali dedicate alla metafora, alla tecnica e all’estetica dell’effimero, la dissertazione individua nell’evento espositivo – da intendersi come dispositivo di produzione di senso – il dispiegarsi della relazione tra più codici compresenti: il codice sfondo, costituito dall’ambiente ospite, il codice oggettuale, costituito dalle collezioni di oggetti o concetti da esporre, e il codice mediale, costituito dall’installazione e dall’insieme degli elementi che regolano il rapporto tra architettura ospite, collezioni e pubblico. L’articolarsi di tali codici è riferibile, secondo la tesi proposta, a tre modelli progettuali, tre atteggiamenti che definiscono le strategie di comunicazione visiva: il modello dell’assenza, caratterizzato da una presenza trascurabile di codice mediale; il modello della ridondanza, in cui il codice mediale opera nel senso di una identificazione con il codice sfondo e il codice oggettuale (modello del bazar), e il modello dell’effimero, in cui il codice mediale produce anche gli elementi fondamentali del codice sfondo e quelli del codice oggettuale, offrendo il massimo livello possibile di rappresentazione (intesa nell’accezione delineata da Wittgenstein nel Tractatus Locico-Philosophicus). La pubblicazione, edita all’interno di una specifica collana dedicata al “mostrare” ha avuto ampia diffusione in Italia, ed è ancora oggi un punto di riferimento per gli studi in materia di allestimento e museografia. Dal canto suo, La Forma dell’Effimero si è posta in modo particolare trovando sponda nella co-relazione a carattere estetologico del Prof. Fulvio Papi (che proprio nello stesso anno aveva pubblicato la raccolta di saggi Filosofia e architettura. Kant, Hegel, Valery, Heidegger, Derrida, Ibis, Como Pavia, 2000, a testimonianza del suo interesse per la dimensione estetica in architettura) e muovendosi nei territori del rapporto tra allestimento e percezione estetica su base strutturalista intendendo il primo come il risultato di un confronto dialettico tra strutture. Il taglio dell’opera si era dimostrato quindi originale e inedito all’epoca, rimanendo ancora oggi un prodotto di riferimento per l’approfondimento dei temi del mostrare sotto il profilo della teoria estetica. Qui di seguito si aggiunge il testo presente nella quarta di copertina del volume, che esprime sinteticamente il carattere dell’opera: Da una parte l’arte, dall’altra l’architettura. Tra le due, l’allestimento come mediazione tra mondi apparentemente sempre più lontani. L’analisi svolta in questo volume, così come il carattere dell’impostazione storiografica, hanno come obiettivo il disvelamento dei meccanismi che stanno alla base di tale rapporto, sotto il profilo del linguaggio e della forma. In particolare, l’allestimento, la tecnica del mostrare, è indicato come topos morfogenetico per l’architettura secondo un percorso, una genealogia che a partire dall’Umanesimo fino agli albori del Terzo Millennio, crea una continuità tra figure come Paolo III Farnese, Gianlorenzo Bernini, Carlo Scarpa, Aldo Rossi, i “Radicals”, Peter Eisenman, Enric Miralles ed altri. È un’analisi che pone l’allestimento come fondamento espressivo per l’architettura nella prospettiva, per quest’ultima, di sfuggire all’oggettivazione di un sapere banalmente normativo, attraverso il libero dispiegamento del “talento” individuale. Il concetto di “effimero”, inteso come categoria estetica, “cronografica”, metaforica, è la chiave di volta per la comprensione del nesso arte-allestimento-architettura in un complesso panorama dominato dalla compresenza di codici e dalla sovrapposizione di tessiture, in una parola, il palinsesto. I temi affrontati ne La Forma dell’Effimero sono stati sviluppati successivamente e a più riprese nella monografia a mia firma intitolata Museografia. Teoria Estetica e Metodologia Didattica, Alinea, Firenze, 2003 e nel saggio La Forma nel Tempo, in S. Cattiodoro Il Fondamento Effimero Dell’architettura (2012).

Il Tractatus Logico Sintattico

Il Tractatus Logico Sintattico. La forma trasparente di Villa Adriana [4] è un saggio sulla composizione architettonica di Villa Adriana, una delle più straordinarie declinazioni dell’architettura romana imperiale, realizzata dall’Imperatore Elio Adriano tra il 118 e il 138 d.C. L’interesse per la Villa è dovuto principalmente a due ragioni: da una parte, al fatto che a partire dal primo Rinascimento fino alla contemporaneità ha costituito (e tutt’ora costituisce) un passaggio fondamentale per la formazione e la conoscenza degli architetti del mondo occidentale, e dall’altra, al il suo impianto planimetrico unico in tutto il mondo antico e mai replicato nelle epoche successive fino al Novecento. In sintesi alla sua Forma Il Tractatus si concentra su questo secondo aspetto e, partendo da una rigorosa metodologia di ricerca in una prospettiva di esclusiva competenza architettonica, giunge a descrivere le relazioni geometriche nascoste, o meglio “trasparenti”, che originano i tracciati regolatori del progetto della Villa. I risultati sono inediti e sono stati approfonditi all’interno di un quadro narrativo definito successivamente come “tecnigrafo post alessandrino”. L’autore, grazie al supporto semplice ma fondamentale dell’applicazione di disegno automatico Autocad, riesce a risalire alla matrice policentrica della Villa ed alla composizione polare radiale e ipotattica che la organizza, in un sistema di mutue relazioni tra loro gerarchizzate in modo geometricamente semplice ed esplicito – quindi oggettivo e uguale a verità – come sottolinea in più occasioni l’autore. La riduzione metodologica alle sole relazioni geometriche sottende infatti l’obbiettivo principale del Tractatus, quello cioè di esprimere enunciati verificabili (o falsificabili) sulla base di regole semplici teoricamente accessibili ad una community molto ampia e operativa direttamente sul file che è messo a disposizione di tutti. L’autore vuole eliminare in partenza ogni margine di ambiguità, di elaborazione ermeneutica o di supposizione (proprie di altre discipline) riducendo tutto alla sola lettura sintattica e al senso gerarchico della posizione degli elementi nello scacchiere progettuale. La Villa viene così analizzata esclusivamente sotto l’aspetto dello sviluppo del progetto in un Delta T sospeso tra ideazione e disegno, descrivendone lo sviluppo a partire dalle azioni attivate sul tavolo dell’architetto, quel “tecnigrafo post alessandrino” di cui si è accennato in poc’anzi. Gli esiti della ricerca portano ad alcuni enunciati inediti rispetto alla tradizione letteraria artistica, archeologica e architettonica inerente alla Villa:

–  La composizione della Villa ha una natura polare, radiale e ipotattica (gerarchicamente organizzata)

–  I poli gerarchici che gestiscono la composizione sono sette, allo stato attuale delle conoscenze. Tra questi, i principali sono riferiti ai padiglioni del Tempio di Venere Cnidia, della Piazza d’Oro e dell’Edificio con Tre Esedre. La Piazza d’Oro da sola gestisce le relazioni di tutta la Villa.

–  Gli orientamenti e la figura dei padiglioni sono coassiali. Gli assi tra di loro relazionano tre trilaterazioni principali che riuniscono in un numero estremamente limitato le azioni progettuali (tre trilaterazioni e due tenaglie) che partono da un modello esoterico di composizione polare radiale

– praticamente ignota nel mondo antico ed utilizzata solo in alcuni casi speciali riferibili al progetto di edifici sacri o santuari

– per chiudersi in un modello romano di gestione territoriale (trilaterazioni o “grandi mosse”).

–  I modelli progettuali della Villa sono l’Acropoli di Pergamo e il Santuario di Iside a Phylae, entrambi luoghi sacri e adrianei d’eccellenza. Esistono inoltre relazioni, di natura diversa, con l’Acropoli d’Atene e la Domus Aurea neroniana, di cui Villa Adriana si costituisce come una replica sotto il profilo “rifondativo”. L’aspetto delle azioni progettuali

– ossia le mosse sullo scacchiere progettuale della topografia della Villa riportata sul tavolo da disegno – il cosiddetto “tecnigrafo post alessandrino” – è stato approfondito e sviluppato in un successivo articolo pubblicato sul numero speciale su Villa Adriana della rivista Ananke, in occasione della campagna di studi promossa dall’Accademia Adrianea di Architettura e Archeologia per le celebrazioni del XIX Centenario A Villa Condita, nel biennio adrianeo 2017-2018.  

 

[1] Dal programma del Laboratorio di Progettazione degli Interni II, Scuola AUIC, Politecnico di Milano.

[2] P.F. Caliari, La Forma della Bellezza, Accademia Adrianea Edizioni, 2019, Roma https://re.public.polimi.it/handle/11311/1126810#.Xo70F4gzaUk

[3] Posizione parzialmente espressa nel saggio Rovina e modernità. Dialettica dell’illuminismo. pp.64-69. In S. Bigiotti, E. Corvino, (a cura di), La modernità delle rovine. Roma, Prospettive Isbn: 978-88-98563-26-5